Dove eravamo rimasti? Ah sì agli assaggi: passa quell'anno e mezzo e finalmente porto i risultati dei miei esperimenti a Tiziana perché li assaggi, con tutte le diluizioni alcoliche possibili (più forte, meno forte...). In quel momento l'amaro è ancora un liquido verdastro con una torbidità bella accentuata, non quello che avete visto nelle bottiglie. Tiziana ed io decidiamo quale possa essere il formato efficace ed è allora che ci scontriamo con il primo problema: che nome dargli? E' un mercoledì pomeriggio in cui sono passato Al Sole per discutere degli sviluppi. Ed ecco che Tiziana, ragionando su un nome che debba essere immediatamente riconoscibile ed identificabile con le zone dell'alta val Degano, tira fuori un nome: Clevo. Ed immediatamente capisco che non può essere che quello il nome giusto. Per chi non sapesse il friulano clevo (o cleva, visto che la o finale è tipica del friulano parlato a Rigolato e Forni Avoltri) indica il sentiero ripido, quello su quale si fa fatica a salire vista la pendenza. La Clevo per esempio è un sentiero che dalla Fario sotto il cimitero di Rigolato porta su verso Givigliana o per esempio tra Forni Avoltri e Cima Sappada c'è una galleria che si chiama "Cleva". Trovato il nome e trovata la composizione... bisogna però trovare una distilleria che lo produca. Perché la distilleria e non in farmacia? Essenzialmente per problemi burocratici ai quali ho già accennato. Comincio allora a girare il Friuli alla ricerca di una distilleria che sia disponibile a produrre qualche centinaio di bottiglie. E non è cosa facile: la maggior parte delle distillerie o non è disponibile, o addirittura dopo che ho preso appuntamento con loro non si fanno trovare. Poi inaspettatamente per caso, quando mi trovo nei dintorni di Udine, decido di provare in una distilleria dei dintorni. Giusto per chiedere: tanto ormai non ho nulla da perdere. Dapprima mi prendono per pazzo, cercano di dissuadermi e poi capisco il perché di questo, mi raccontano che hanno fatto liquori per altre persone e queste non li hanno mai pagati e non li sono mai venuti a prendere. In parole povere sono rimasti scottati. A quel punto cerco di essere chiaro: fossero anche duecento bottiglie prometto solennemente che me le prenderò in carico a costo di mettermele tutte in garage. Accettano. Ma non è finita qui perché mentre il liquore è finalmente in produzione bisogna elaborare un'etichetta e un logo che vada sull'etichetta. Qui ammetto di essere stato banale: contattato un illustratore (Adriano Fruch, originario di Rigolato) e gli richiedo appositamente l'illustrazione di uno Sbilf (del quale sopra potete vedere una delle prime versioni in bianco e nero). Per chi non sapesse cosa sia lo Sbilf si tratta di un folletto della tradizione Carnica, assieme alle Anguane, all'Orcolat e a tante altre creature fantastiche. Non è presente dappertutto nei racconti popolari. Per esempio A Forni Avoltri non vi è lo Sbilf ma è più conosciuta la Strio, una sorta di babau utilizzato per spaventare i bambini che non volevano andare a letto a dormire. Trovata la distilleria e fatta eseguire l'illustrazione devo però comporre l'etichetta. E qui grazie all'aiuto di Roberto Lepre e del suo collega Marco (i quali lavorano ambedue in una tipografia di Monfalcone) riesco a fare realizzare l'etichetta. Etichetta che poi stampo personalmente con una inkjet a getto d'inchiostro in tutte le copie occorrenti su della carta adesiva e poi tratto con della banale lacca per capelli per rendere i colori più brillanti e lasciare sull'etichetta una patina protettiva. A questo poi è seguito il taglio delle etichette e una sessione notturna per appiccicarle sulle bottiglie. A quel punto ci siamo ritrovati con 180 bottiglie. Bottiglie che teoricamente avrebbero dovuto durare quell'annetto e mezzo... CONTINUA Ps il marchio di cui sopra, nella versione a colori è stato da me registrato personalmente in Camera di Commercio e quindi non è possibile copiarlo senza chiedermene il permesso. Per questo suggerimento ringrazio sentitamente Uberto Pecol i cui ottimi prodotti potete andare a trovare a Raveo, vicino Villa Santina.
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Mamma mia, quanto scrivo.
E' che non ce ne si rende conto, ma in queste righe sto condensando il lavoro di qualche anno. Precedentemente all'Amar de Clevo un collega (il farmacista di Moggio Udinese, il dr. Lorenzo Miolli) mi propone un progetto. Coltivare in Carnia la Valeriana officinalis. All'inizio non so nemmeno di che pianta si trattasse, devo dire la verità. Ne avevo sentito parlare soltanto perché in Farmacia si vendono preparazioni (in genere gocce) a base di valeriana per calmare o per indurre il sonno. Comunque accetto di buon grado: perché non provare e in questo modo ritornare a coltivare i terreni frazionatissimi ed abbandonati della Carnia? Un vivaista ci fa germogliare i semi e dopo qualche mese ci fornisce le piantine da trapiantare in terreno aperto. A Ludaria trovo un signore (Mario Candido) che mi dà la disponibilità di un pezzettino di un suo terreno. (e qui approfitto per ringraziarlo). E' in una posizione scomoda: bisogna guadare due ruscelli per arrivarci ed è in pendenza, ma vabbè... è proprio quello che serve. Trapianto personalmente un centinaio di piante e per i primi anni praticamente mi dimentico di loro. La Valeriana Officinalis è una pianta perenne che muore (apparentemente) in inverno ma alla primavera successiva rigermoglia. Dopo due anni in quel campo vengono fuori delle piante alte quanto me e con un contenuto di principi attivi nelle loro radici che supera i valori più alti riscontrati nel Nord Europa (in Polonia in genere dove coltivano tantissimo questa pianta). Per chi volesse vedere ho i risultati delle analisi qui. Purtroppo, a farla breve, il progetto fallisce, per tanti motivi che non sto qui a raccontare (con dichiarazione finale della responsabile: "Io a questo progetto non ci ho mai creduto"). Peccato. Quello che importa è una telefonata tra me e Lorenzo che avviene dopo tre anni dall'inizio di tutto. "Ho le piante ancora in campo e vive, sono tutte germogliate. Che ne devo fare?" gli chiedo. "Fai quello che vuoi. Puoi anche toglierle. Per il momento mi prendo una pausa da questa cosa... troppo dispiacere." mi risponde e comprendo bene la sua delusione. Decido di tenerle perché dispiace molto anche a me, anzi mi nausea la cosa e con ostinazione ritengo che non valga la pena di buttare via tutto. E perché poi? Non si sa mai. Ed ecco il secondo punto di svolta di questa storia dell'Amar de Clevo. Perché quando Tiziana mi chiede di farle un amaro per l'Academio dei Cjarsons e io vado a tirare fuori la ricetta che mi era stata tramandata dall'anziana Signora, cosa leggo su quel foglietto tra gli ingredienti? "Valeriana" E se non è il destino questo, non so come chiamarlo. Continua Ps La foto che vedete qui sopra è di quest'anno (maggio 2017). Sono 70 piante di Valeriana Officinalis vive e vegete, ancora nel loro campo sopra Ludaria. Al momento presente a Bleggio Superiore (TN) una brava vivaista mi ha coltivato 300 piante che verranno trapiantate in altri posti attorno a Rigolato. Ed è solo l'inizio. Scommettiamo che la Carnia tornerà ad essere terra coltivabile? Pps (11 maggio 2017) Sono stato contattato da Bleggio e le piante sono già pronte per essere trapiantate. Ringrazio invece quella testa di melone che ha pensato bene di chiamare la forestale per segnalare che nel campo a Ludaria vi era della Marijuana. Intanto qualsiasi minus habens si renderebbe conto che Valeriana e Marijuana, a parte qualche assonanza nel nome, sono due piante completamente diverse (vedete la foto qui sotto e confrontatela con quella all'inizio del post). Se questa segnalazione è un vile tentativo di fermare un progetto che affonda le sue radici (è proprio il caso di dirlo, trattandosi di valeriana) in parecchi anni fa è completamente caduto nel vuoto. Se poi nella peggiore delle ipotesi questo sia il tentativo (vile) di qualche persona invidiosa e nullafacente di colpire me e la mia volontà di arrivare fino in fondo a questo progetto, beh chiunque ci abbia provato cascherà male. Le segnalazioni sono atti pubblici e un accesso agli atti non si nega a nessuno, basta fare una letterina... CONTINUA Mi direte: ma non hai niente da fare il sabato sera? Non rispondo nemmeno.....
Beh, dov'ero rimasto? Ah sì a quell'etichetta sul fondo della bottiglia da me staccata e messa in un'agenda. E poi ricopiata su un quaderno per non perderla. Uno di quei sogni veramente infilati in un cassetto e chi vivrà vedrà. Passano gli anni e io inizio finalmente la mia carriera lavorativa (dopo laurea, dottorato, ricerca senza soldi, farmacia comunale con disoccupazione a orologeria, farmacia privata non gestita, farmacia comunale rincretinita e infine altra farmacia privata con lavaggio cerebrale marketing-mobbing... tanto per darvi un'idea e non dilungarmi troppo). Alla fine: Rigolato. In parole povere non ero troppo contento di fare il dipendente e ho deciso di fare il titolare. Per di più in Carnia, dove tutti scappano ma dove evidentemente si sta bene, altroché... vi sfido io a godervi le giornate di agosto come si fa in Carnia, tiè. Brutto affare comunque: non solo non è agosto tutto l'anno ma mi sono giocato le ferie per la mia intera vita. Passano gli anni e conoscendo una ex maestra di educazione artistica di Rigolato (sì certo a Rigolato alcuni la conosceranno e sobbalzeranno sulle poltrone!) di nome Teresa e cognome Zanier (così non vi lascio nel dubbio e a proposito, qui tocca ringraziare questa inedita chaperon senza la quale niente Amar de Clevo!) questa mi porta a mangiare in un hotel nel vicino paese di Forni Avoltri. Precisamente "Al Sole". Qui non so come sono diventato amico di Tiziana Romanin (ma è stato normale essendo una delle persone più quiete ed educate che conosca), comunque vi basti sapere che sono di bocca buona e dove si mangia bene (e onestamente Al Sole si mangia molto bene), io ci ritorno di certo. Sarà che Tiziana era stufa di vedermi di tanto in tanto là a mangiare e così mi coinvolge in un suo progetto. Lei è membro di un'associazione di un certo Tullio Ceconi, l'"Academio dai Cjarsons" e chiede a me e Teresa di iscriverci e di farne parte. Si mangiava troppo bene: non abbiamo potuto risponderle di no. In breve l'Academio dei Cjarsons si occupa della tutela dei Cjarsons, un famoso piatto carnico e più in generale della diffusione culturale delle sue tradizioni e delle tradizioni enogastronomiche della Carnia. Ed è stato così che un giorno Tiziana mi si avvicina e mi chiede se, visto che sono socio dell'Academio, sono un farmacista e sono appassionato di erbe (fitoterapia, non coltivazione di Mariuana), non posso per caso creare un amaro per l'Academio dei Cjarsons? E' allora che mi sovviene di quella ricetta messa nel cassetto anni prima. Apro il cassetto ed eccola. Quel giorno per me si sono spalancate le porte dell'inferno. E perché? Chiederete Voi? Perchè, rispondo io, in Italia tra un'idea e la sua realizzazione passa veramente non il mare ma la fossa delle Marianne (andatela a vedere su wikipedia, è parecchio profonda... tanto quanto la burocrazia italiana). Innanzitutto un amaro non è che si possa fare così semplicemente in farmacia, ma la cosa migliore sarebbe quella di andarsene in supermercato, comprarsi l'alcol per uso alimentare e A CASA PROPRIA fare tutti gli esperimenti che si vogliono. E così ho fatto, su consiglio non di un amico ma udite udite di un gentilissimo addetto dell'Agenzia delle Dogane. Ogni grammo di alcol necessita del pagamento di un'accisa e la sua manipolazione, all'interno di un'azienda come una farmacia, richiede che precisi requisiti vengano soddisfatti. Insomma meglio fare tutto a casa, specialmente se si tratta di esperimenti. Bene. Comprato l'alcool è stata la volta delle erbe. Amo camminare in montagna e quindi alcuni ingredienti li ho trovati così la prima volta, imparando anche a riconoscere le piante. Altri li ho comprati da privato cittadino in ditte specializzate (e purtroppo non si può fare in altro modo). In parole povere tra l'acquisto di quella bottiglia e l'inserimento al suo interno di tutte le erbe sarà passato almeno un anno se non di più. Tiziana ha perso la sua proverbiale pazienza. "Allora quest'amaro? Quando lo sentiamo?" Sono passati mesi per decidere quanto zucchero mettere (e diverse prove). Solo allora è avvenuto l'assaggio. E lì sono veramente iniziati i problemi! Alla prossima settimana. CONTINUA |
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Luglio 2023
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