Nell'Ayurveda (la scienza della Vita, letteralmente) nulla avviene per caso, ma tutto quello che capita nella vita di ciascuno di noi è il risultato di una maturazione degli eventi che si concatenano gli uni agli altri. E' in questo modo quindi che delle apparenti casualità in realtà sembrano manovrate da una sequenza di eventi la cui probabilità è risibilmente infinitesimale.
Tante volte nella mia esistenza mi è capitato di collegare degli eventi che ho vissuto e capire che chissà per quale motivo si erano verificate delle cose irrealizzabili, nella stessa stanza e nello stesso momento si erano concentrati dei coacervi di impossibilità da far venire i capelli dritti. Non so se come nell'Ayurveda noi siamo dei frutti maturi che sono destinati prima o poi a venire a contatto o a conoscenza con delle verità o con delle illuminazioni che ci guidano per il resto delle nostre vite. Piuttosto credo che ci siano degli eventi che ci segnano profondamente e che determinano, nelle nostre reazioni, chi e cosa saremo o chi e cosa NON saremo. In questa filosofia spicciola appare difficile cercare dei riferimenti: non c'è ragione, non c'è emozione, non c'è valore che effettivamente possa guidarci in ogni piccolo episodio delle nostre vite, ma dobbiamo sempre imparare a mutare con il corso degli eventi. Dobbiamo di quando in quando adattarci, resistere, arretrare, spostarci di lato per non venire investiti. E non tutti sono così fortunati da sopravvivere.
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Credit: la splendida foto è opera del Sign. Adriano Amerighi. Sabato scorso, assieme ad un amico, mi sono recato a Sgonico, al giardino botanico la Carsiana. Potrei dire molte cose amare, ma preferisco raccontarVi com'è nato quello splendido giardino di 5mila mq. Un farmacista, un collega, appassionato di botanica, comprò una casa ed un terreno sul Carso. In mezzo a quel terreno c'è addirittura una dolina (profonda almeno 40 metri mi pare di ricordare). In questo appezzamento di terreno realizzò, grazie alla collaborazione di altri, un giardino botanico dove "rappresentare" tutti gli ecosistemi del carso, dall'ambiente marino a quello montano. Ovviamente un lavoro del genere richiese dei profondi lavori di riorganizzazione e perfino opere di veicolazione delle acque per rendere i terreni ospitali a varietà botaniche che altrimenti difficilmente vi si sarebbero acclimatate. Non pago di questo realizzò collaborazioni con altre regioni e portò delle piante non autoctone nel Giardino (in particolare ho avuto modo di osservare una splendida pianta di Pistacia Lentiscum, dalla Sardegna). A distanza di anni l'ideatore di questo lavoro è morto, la casa è stata rivenduta a privati ed il Giardino Botanico con la quale comunicava tramite un cancelletto è stato separato e comprato dalla Provincia è poi passato in proprietà alla Regione. Ora è in gestione a una cooperativa. Stringe il cuore vedere le condizioni in cui è ridotto ora: in alcune parti l'incuria e l'abbandono la fanno da padrone e ciò nonostante si capisce fortemente quanto e quale lavoro sia stato fatto negli anni passati. La cooperativa non può essere responsabile di questo abbandono: poche persone non possono prendersi l'impegno di un lavoro ENORME che dovrebbe essere probabilmente fatto con l'appoggio della regione FVG. Il libro delle visite è pieno di firme di persone da fuori regione. Quelli del luogo e della regione non conoscono questo posto, o più probabilmente lo ignorano. Pochi gadget venduti all'ingresso dalla cooperativa e il libro di classificazione botanica del Giardino è stato edito troppi anni fa. Ora è introvabile, non se ne trovano più stampe, tranne che in qualche biblioteca sparsa. Peccato perché sfogliandone una delle ultime copie ho scorto qualche tavola illustrata ed ovviamente la descrizione del gigantesco lavoro effettuato per realizzare il giardino. Una buona base in pratica per un recupero totale del tesoro botanico in esso contenuto. Magari assieme ad una sistemazione dei parcheggi esterni (un po' di ombra non guasterebbe) e che so un minuscolo baretto per invitare le persone a fermarsi ed assaporare il tesoro che hanno intorno. Magari anche con un po' di rispetto per chi l'ha realizzato. Magari mettendo fine all'ingresso gratuito, visto che ciò che è gratis molto spesso viene percepito come senza valore. basterebbe far pagare anche 2 euro a persona. All'estero lo farebbero e sarebbero sempre soldi che andrebbero per il recupero del giardino botanico, magari per pagare un giardiniere in più o far arrivare nuove piante che sostituiscano quelle che muoiono. Perché la foto sopra? Le formiche portano gli afidi sulla pianta perché questi ne suggano la linfa, producendo sostanze zuccherine, delle quali le formiche (i pastori degli afidi) sono ghiotte. Ma anche le coccinelle sono ghiotte di afidi. Come dire: tutto è collegato ed interconnesso. Anche noi. Vi lascio un video Youtube realizzato da un mio collega all'interno del Giardino La Carsiana, con un ospite "inatteso" che dice ovviamente un sacco di sciocchezze. Perdonatemi, ma ero un po' preso da discorsi a braccio. Pertanto: 1) l'iperico od erba di San Giovanni si raccoglie al solstizio d'estate; 2) la manna dal Frassino avrà di certo una resa di raccolto superiore all'1%, sennò in meridione non la raccoglierebbero perché antieconomica; 3) quel fiore di CERTO non è la regina delle alpi. E tante altre amenità. Finalmente se ne può parlare. Era da Novembre che aspettavo. Ieri sera su Sky è andata in onda la puntata di quattro ristoranti condotta dallo chef Borghese in Carnia. Ho seguito la puntata verso l'"inesorabile " conclusione. Certe scelte della trasmissione mi sono sembrate un po' fuori luogo, ma tant'è le trasmissioni televisive richiedono sempre una irrigimentazione in determinate regole "raccogli pubblico". Non ho capito personalmente cosa c'entrasse Sappada con la Carnia, seppure in Friuli e seppur confinanti spicca la differenza culinaria e culturale tra i due luoghi. In Carnia il Fogolar, i cjarsons (mai pronunciati bene dal Borghese che è arrivato anche a un "Sciarscions" di pronuncia, ma poretto si impegnava, anche se l'ho visto in difficoltà sul toc in braide!) mentre a Sappada la Stube e i cjarsons con le erbe che contengono dentro il pèrschtròmm o dragoncello (sul quale c'è un'assodata tradizione germanofila). Insomma le differenze ci sono e si sono viste. Anche per questo mi fa piacere che abbia vinto la Stella D'Oro, perché veramente questi sono un ristorante della Carnia, con le vecchie ricette ed un'attenzione particolare alla Carnia. La notizia mi fa però ancora più piacere perché tra i quattro ristoranti la Stella D'Oro è l'unico che ha sempre tenuto l'Amar de Clevo fin dalla nascita dell'amaro. Ci hanno creduto, lo hanno distribuito, hanno continuato a crederci. Quindi non può che farmi piacere il riconoscimento che a loro è stato dato. L'unico rammarico è che in trasmissione abbiano brindato con la Leffe piuttosto che con un bicchiere di Amar de Clevo, ma sicuramente saranno state esigenze di trasmissione a dettare tutto ciò. E poi quante domande avrebbe fatto Borghese sulla parola Clevo e su come si pronuncia? Prosit e un congratulazioni vivissime agli amici della Stella d'Oro. Oramai chiunque sa la storia dell'Amar de Clevo. Nessuno sa però che la bevanda originale da cui deriva (e le cui caratteristiche tramanda e conserva) aveva delle proprietà particolari, derivanti dalle erbe dalle quali era (ed è) costituito. L'utilizzo delle erbe nel sapere popolare non era mai casuale, bensì era il modo di tramandare un insieme di conoscenze empiriche sul territorio. Non ne ho mai fatto molta pubblicità perché in questi anni ho voluto privatamente approfondire l'argomento. In questi giorni sono riuscito a raccogliere finalmente qualche informazione in più che ho combinato in un quadro esplicativo riguardante le proprietà medicinali dell'antica bevanda:
++++ Regolazione delle funzioni digestive ed epatiche +++ Effetto balsamico, emolliente e lenitivo sulle funzioni della mucosa orofaringea e sul tono della voce ++ Rilassamento del sistema nervoso, con particolare attenzione al sistema nervoso enterico (azione spasmolitica) + Drenaggio dei liquidi corporei Detto questo è ovviamente la dose a fare la medicina. Ma le erbe e le loro proprietà continuano a rimanere, su questo potete scommetterci. Alla prossima. E' necessario ogni tanto fare il punto della situazione.
La produzione del 2019 è differente da quella del 2017, il colore dell'amaro è tornato più chiaro, esattamente come era nella versione originale. Abbiamo deciso così, insieme e con insieme intendo che la cosa è stata concordata all'interno dell'Academio dai Cjarsons. Un'aggiunta di troppo di caramello aveva portato via parte del profumo dell'amaro che lo contraddistingue rispetto ad altre bevande alcoliche in commercio. Quindi se vi accorgerete di una differenza di colore (più chiaro) è questo il motivo. Accanto alla bottiglia da 70 cL è stata fatta produrre la bottiglia da 20 cL. Non è stato facile : realizzarla ha comportato trovare una bottiglia adatta (con una forma che richiamasse quella più grande) e fare realizzare delle etichette opportunamente modificate. A parole sembra banale, ma nei fatti non lo è stato più di tanto. Per quale motivo? Qualche giorno fa ho messo un sondaggio su facebook, chiedendo la preferenza tra una bottiglia da 70 cL e quella più piccola. Il sondaggio ha scelto la bottiglia più grande. E allora perché farla lo stesso? Non dimenticate che l'Amar de Clevo è il prodotto di rappresentanza dell'Academio dai Cjarsons. Un problema che avevamo è che nei pranzi per le raccolte fondi dell'associazione molti vengono spaventati dall'acquistare una bottiglia grande: non conoscono il prodotto che può non piacere e pertanto la preferenza andrebbe su un taglio più piccolo e meno "impegnativo". Per questo è stata realizzata la bottiglia da 20 cL e anche perché tra non molti anni è probabile che Forni Avoltri ospiterà la riunione nazionale delle confraternite. Difficile regalare a ciascun confratello che parteciperà all'evento (da qualsiasi parte d'Italia) la bottiglia grande, no? Quindi non pensiate che quanto viene fatto non abbia un suo senso e significato. Veniamo quindi alla questione della rivendita dell'Amar de Clevo. Ciclicamente si pone il problema di dove si possa trovare, problema giustificato dal fatto che purtroppo a Rigolato non risulta più disponibile. Ho cercato a lungo di risolvere questo problema e penso di aver trovato un buon compromesso: grazie ad un'amica il prodotto è ora disponibile presso il Market da Giò a Sappada (la località sarà aggiornata sulla mappa come punto di rivendita). Per ora è tutto. Un saluto. Samuele In questi mesi sono stato ben zitto, ma non sono stato con le mani in mano. Ormai il meccanismo è ben rodato ed io mi diverto ad incastrare i pezzi uno con l'altro. In questa cosa risiede la soddisfazione di poter dire: ho fatto qualcosa. E così pian pianino è giunta al culmine la produzione del 2018 che però verrà etichettata 2019. La burocrazia esige il suo prezzo di tempi ed attese. Questa volta saranno soltanto un migliaio di bottiglie, ma è una nuova prova.
La differenza sta nel fatto che io e i distillatori abbiamo concordato di tenere le erbe in macerazione molto più a lungo, prima erano pochi mesi, questa volta è stato quasi un anno. Dopodiché mi è stata chiesta una versione più piccola della bottiglia dell'Amar de Clevo. Alcuni quando vedono la bottiglia da 70 cl si spaventano, probabilmente pensano che una bottiglia del genere sia difficile da finire. E lo è certamente. Se la aprite da soli, ve l'assicuro. Provate ad aprirla in compagnia e noterete che si asciuga in fretta. Per i titubanti quindi ho fatto fare la bottiglia da 20 cl (un altro migliaio, quindi niente mille e non più mille!). Non è stato facile: ho dovuto trovare e scegliere la bottiglia adatta (che richiamasse esattamente le forme della bottiglia più grande) e far realizzare nuove etichette proporzionate alle dimensioni. Ovviamente su questo ci siamo consultati in più teste e anche questo è positivo: trovarsi dopo un anno e decidere in cinque minuti con pragmatismo cosa fare. Grandi. Alla fine però spero di avercela fatta. Stamattina ho mandato l'ok definitivo alla stampa delle etichette (dopo aver concordato la forma tra me, il grafico e la distilleria ovviamente perché in queste cose più teste ci sono che intervengono meno è possibile sbagliare). Insomma ci siamo. Questo non trascurando il fatto che continuo a lavorare sulla qualità delle erbe e sulla scelta futura e presente dei produttori. Non sarà facile ma è un mondo piccolo questo e molto spesso si scoprono tesori quasi sotto il proprio naso. A Voi lascio il futuro giudizio di ciò che abbiamo combinato. Io so soltanto che continuo a divertirmi e quindi si tratta di un ottimo segno: deve piacerti ciò che fai perché la buona volontà che ci metti finisce anche in quello che realizzi. Ieri sera sono stato invitato a fare una relazione sull'Amar de Clevo a Tarcento e parlando così alla fine del più e del meno ho espresso la filosofia del prodotto, ovvero un'idea che mi sta girando in testa e sta prendendo forma negli ultimi mesi. Perché è nato l'Amar de Clevo? Essenzialmente per dare un prodotto di rappresentanza radicato nel e sul territorio all'Academio dai Cjarsons di Forni Avoltri. Quello è l'obiettivo principale che ha mosso tutto quanto.
E ne è venuto fuori che per avere un prodotto genuino sarebbe meglio produrlo per quanto possibile con elementi che si trovano SUL territorio, o quantomeno in Italia. Può sembrare strano ma in un mondo globalizzato diventa sempre più difficile reperire i materiali perché ormai si trovano soltanto quelli maggiormente utilizzati, maggiormente economici e non necessariamente genuini o di buona qualità. Devi produrre un'erba officinale? Per guadagnare servono almeno 10 ettari. Devi meccanizzare il processo, devi assumere persone che si occupino di togliere le malerbe. Al limite devi pestificare il tutto (per eliminare i parassiti). Devi creare una macchina che guardi al profitto con la minor spesa possibile. E per risparmiare un modo lo trovi sempre. Il Friuli Venezia Giulia e in particolare la Carnia è un terreno di eccellenza: un polmone verde che concentra delle condizioni uniche e irripetibili per la qualità alimentare e del territorio. Il problema però è: ce ne rendiamo conto? Lo valorizziamo? Ci costruiamo qualcosa attorno? No, o almeno non molto. Non è un problema della sola Carnia, è un problema comune ed un problema di cultura. Ciò che non è economico viene scartato e relegato ai margini. Ciò che economico lo è viene massimizzato e incastrato negli ingranaggi del commercio globale dove quella che conta non è la qualità, ma la quantità. E invece di qualità ce ne sarebbe e tanta sulla quale costruire il futuro. Perché il futuro è nelle piccole persone, nelle piccole idee artigianali, nel fare le cose come una volta. In piccolo, ma con attenzione. In un mondo globalizzato non ci rendiamo conto che l'egemonia del prodotto confezionato finisce per stufare e per non portare nulla di buono. Ieri sera mi hanno chiesto se ogni produzione dell'Amar de Clevo avrà lo stesso sapore. La risposta è no ed il motivo è molto semplice: se andate a raccogliere le erbe di anno in anno (ma anche le comprate) ci saranno gli anni piovosi e quelli soleggiati o siccitosi. E a seconda delle condizioni climatiche le piante si comporteranno in modo differente: saranno meno concentrate negli anni piovosi e più concentrate in quelli di sole. Il prodotto artigianale varia a seconda degli ingredienti e dei ritmi naturali che non possono e non devono essere necessariamente omologati. L'Academio dei Cjarsons (ed io con Lei) crediamo in questa filosofia dell'alimentarsi e dei prodotti. Dopo un po' di tempo ho apportato alcune modifiche al sito: nella pagina iniziale ho inserito un comodo modulo di contatto e evidenziato il collegamento alla mappa con la dislocazione delle località ove sia possibile bere l'Amar de Clevo (segnalini grigio scuro e grigio chiaro) e quelle ove è possibile anche acquistare le bottiglie. E' ovvio che il tutto sarà d'ora in poi soggetto a revisioni ed aggiornamenti.
Allo stesso tempo, dopo che nel 2017 sono state prodotte 2580 bottiglie, ho ritenuto opportuno evidenziare con un contatore quante bottiglie avanzano ancora della produzione 2017. Questo con un duplice scopo: far capire che le produzioni, data l'artigianalità del prodotto non possono e non potranno che essere "limitate" (e sinceramente mai avrei pensato che un tale numero di bottiglie durasse meno di tre anni e quindi i conti da me fatti sono stati surclassati). Avrò cura di aggiornare anche il contatore in questi mesi che seguono. E' ovvio che nei medesimi mesi sarà mio compito approntare la nuova produzione (la terza), cercando di apportare delle migliore che tendano a recuperare l'originaria ricetta quanto più possibile. In sintesI: in questi mesi vi siete persi il profumo che fa e ha sempre fatto. Lo recupereremo, tutto quanto. Chi ha assaggiato un amaro che non fa profumo ha assaggiato un amaro che ha visto le erbe per caso, da lontano, per "conoscenza". Non ho mai fatto mistero che questo non è il messaggio che vuole passarvi l'Amar de Clevo. Alla prossima! Qualche settimana fa, guardando di sfuggita la pubblicità di un amaro molto conosciuto, mi sono incuriosito. Alcuni pugni di erbe (presumibilmente le medesime utilizzate per fare l'amaro) lanciate contro la bottiglia in slow motion. Effetto veramente d'impatto, tant'è che io ne sono rimasto colpito e ho pensato che se volessi fare la pubblicità di un amaro vorrei anch'io farla in questo modo. Vorrei anch'io far vedere le erbe utilizzate per produrlo, ma poi successivamente bisognerebbe anche trovare il modo di comunicare i colori, i sapori e soprattutto i profumi che le caratterizzano. Per non parlare del lavoro di ricerca, di collaborazione, di raccolta e anche dell'analizzare ciascun materiale al fine di evitare che "corpi estranei" possano finire nella miscela.
Vi sembrerà strano ma ieri, aprendo un contenitore di anice stellato, ho trovato un lungo capello riccio e scurissimo all'interno. Da dove veniva? Di certo non da me, né attaccato al sacchetto contenente l'erba taglio tisana. Piuttosto non bisogna tanto stupirsi: con le erbe sono cose che capitano, ma NON dovrebbero MAI capitare. Pensate a quelle delle quali si utilizzano esclusivamente le parti aeree (e potrebbero esserci formiche, insetti vari) e quelle delle quali si utilizzano le radici (che vanno isolate da terreno e sassi, pulite ed essicate). Un incubo insomma. Ritornando alla pubblicità: quelle manciate di erbe sono quelle che mi fai vedere perché nell'ordine: sono colorate, sono belle, sono spettacolari, sono di forte impatto visivo. Tante cose assieme in pratica. Io non potrò mai farvi vedere una pubblicità del genere, perché semplicemente le erbe ce le metto DENTRO l'amaro non fuori. Sono tutte quante là, macerate nell'alcool, girate di tanto in tanto. Lasciate a riposare al riparo dalla luce e dal calore e lasciate a fare massa per qualche mese. Tirate fuori e filtrate con degli enormi filtri bianchi che vengono buttati via dal distillatore, accompagnate da improperi del medesimo (ogni volta me li fa vedere, quasi che fosse colpa mia). Vuoi acqua sporca? Non bevi Amar de Clevo, mi dispiace. Al momento la burocrazia ci sta facendo aspettare la produzione 2018 che diventerà produzione 2019 mi sa. Però una cosa buona la possiamo già dire: stavolta le erbe sono rimaste parecchi mesi a are massa e tra chi fa amari è risaputo che più le erbe rimangono a macerare migliore sarà la qualità del prodotto finale. Così scrivo questo per comunicarvi la filosofia che sta dietro al prodotto. Né più né meno e non penso assolutamente di distaccarmi da questo modo di pensare. Forse economicamente non sarà conveniente ma che senso ha produrre acqua sporca solo per accumulare denaro? E poi cosa te ne fai? Fai realizzare una bella pubblicità per un prodtto che magari i pubblicitari non hanno nemmeno assaggiato? Colgo l'occasione per fare a Voi e alle Vostre famiglie auguri di Buon Natale e Buone Feste, ringraziandoVi per le critiche e per le approvazioni, se non altro per il fatto che ci seguite e capite cosa sta dietro l'Amar de Clevo. Grazie a Tutti Samuele |
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Luglio 2023
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