Molti non lo sanno, ma la storia dell'Amar de Clevo è una storia fatta di piccole grandi coincidenze.
Un po' come quelle che mi hanno fatto andare a vivere in Carnia. Tanti anni fa i miei genitori vivevano in un condominio, uno di quelli con gli appartamenti a schiera con al piano superiore tanti appartamentini piccoli. In uno di questi viveva un'anziana signora, originaria della vallata di Ampezzo. Mio padre ogni tanto andava ad aiutarla quando aveva un guasto all'impianto di riscaldamento o quando una taparella di plastica si bloccava e si rompeva una cinghia dell'avvolgibile e così via. Così ogni Natale noi regalavamo alla signora un panpepato (antico dolce cioccolatoso della tradizione ferrarese) e la signora per sdebitarsi dei favori ricevuti ci regalava una bottiglia di grappa fatta in casa, avvolta nella carta da regalo. Sono passati molti anni da allora. Io ero ancora all'università frustrato dai miei tentativi di dare i primi esami della facoltà di Chimica e Tecnologie Farmaceutiche (Farmacia, insomma). L'anziana signora, a volte, alla bottiglia di amaro aggiungeva qualche scatola in plastica con il frico di solo formaggio e chissà che quelle specialità di montagna o quelle rare giornate in cui ancora ci invitava a casa sua, vicino Ampezzo, per un piatto di polenta e spezzatino, non abbiano influito sulla mia decisione di trasferirmi a lavorare in Carnia anni dopo. Mio padre non è mai stato un assiduo bevitore di superalcolici e aperta una di quelle bottiglie solo per assaggiarne il gusto, le altre invece finirono ad accumularsi in cantina. La signora intanto con gli anni arrivò perfino a raccontarci qualcosa di quel liquore: di come esso fosse una tradizione delle sue parti, con un utilizzo medicamentoso delle erbe costituenti e di come una sua amica andasse personalmente a raccogliere le erbe occorrenti una ad una. Poi, con il passare del tempo, l'amica non fu più in grado di andare a raccogliere le erbe in montagna. E infine anche la signora nostra amica morì. Erano gli ultimi miei anni di università: dopo anni passati a Trieste a vivere da solo, cominciai a sviluppare una passione che (purtroppo) viene a tanti farmacisti che nella loro vita abbiano provato a fare le preparazioni galeniche (ovvero le preparazioni che fa personalmente il farmacista in farmacia: spesso creme o capsule): la pasticceria. Tutto sommato fare le torte è come riuscire a fare le reazioni chimiche. Solo che la pasticceria non perdona: se sbagli una dose non viene nulla. Il liquore in cantina era perfetto per i pan di spagna. Fu così che un giorno andando a sgraffignare di soppiatto una bottiglia (tanto a mio padre mica servivano!?) ne presi su una, la scartai dalla carta regalo con nastro nella quale era avvolta e notai un'importante differenza rispetto alle altre: alla base della bottiglia con lo scotch era stato appiccicato un foglietto scritto a mano con la penna. Lo lessi con incredulità e capii che era la ricetta. Le erbe costituenti l'amaro con le quantità di ciascuna indicate come si faceva una volta (un'ombra di... un pizzico di etc...). Ed è qui che ebbe inizio la storia dell'Amar de Clevo, nel mio ricopiare quelle poche righe e metterle da parte, convinto che chissà: prima o dopo sarebbero tornate utili. CONTINUA
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Luglio 2023
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