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Il significato della memoria

1/27/2018

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Per chi non la conosca Band of Brothers è una serie televisiva di qualche anno fa coprodotta da Steven Spielberg e Tom Hanks per la HBO. Ai tempi suscitò polemica in America perché descriveva gli aspetti della Seconda Guerra Mondiale più scomodi, come la fucilazione dei prigionieri tedeschi o le morti inutili dovute a ripicche tra organi di comando militare.
Tenete conto che Spielberg è ebreo e quindi direttamente coinvolto in quel che racconta e con direttamente intendo che il suo giudizio può benissimo essere parziale. Ma proprio ieri ragionando sulla parzialità del giorno della memoria (si ricordano le vittime dell'olocausto, ma intanto qualcuno invoca le vittime dei gulag o di altri eccidi) ho impiegato un po' di tempo a vedere alcune scene a casaccio di questa miniserie e ho capito una cosa evidente.
Spielberg sapeva benissimo che una rievocazione storica si presta al detto "la storia viene scritta dal vincitore". Per questo (primo video) alla fine della serie presenta le storie dei soldati della compagnia easy (compagnia di militari americani la cui storia lega tutti gli episodi), come dire che alla fine della guerra i soldati sono tornati ad essere uomini e ciascuno di loro è tornato a vivere la propria vita. In questo caso Spielberg vuole dare l'impressione che i vincitori siano uomini, non figure di carta patriottiche. E vabbè, concediamogli questa furbizia, passando al secondo video: il discorso dell'ufficiale tedesco, la storia scritta dai vinti che perfettamente si adatta a tutti quanti, vincitori compresi. Forse è la dimostrazione migliore di quanto l'arte cinematografica possa ANCHE cercare di essere obiettiva e possa dare dignità alle vicende storiche, invece di ritagliarle a proprio uso e consumo. Per me che ricordavo vagamente questa serie, è la conferma della fedeltà alla realtà (per quanto possibile) che si è voluta raggiungere.
E infine il terzo video, una ricostruzione ovviamente cruda di quando i soldati americani entrano nei campi di concentramento, "liberandoli". Militari inesperti che entrano in stato di shock in campi abbandonati e non sanno nemmeno cosa fare. E effettivamente non ritengo che qui il regista sia andato molto lontano da quanto avvenuto in realtà.
Il messaggio è che la storia non dovrebbe essere scritta dai vincitori, ma dalle testimonianze reali di vita vissuta. Testimonianze che in questo odierno mondo relativista non vengono più ascoltate. Viviamo nel presente perché rifiutiamo il passato ed i suoi sbagli, ma ancor di più ci fa paura il futuro (inquinamento, sovrappopolamento, guerre). Ieri quelli che invocavano la memoria delle foibe per la prima volta non mi hanno fatto trasalire, bensì sorridere. Perché è solo un aspetto del problema che si vede: la memoria (o la testimonianza) di tutti gli eccidi, di tutta la malvagità andrebbe trasmessa, raccontata, rielaborata senza trascinarla in una battaglia ideologica nell'aia dei polli. Non sono i numeri delle vittime che vanno ricordati, bensì il metodo, il calcolo, il cinico perseguimento della distruzione di una o più vite umane al fine di mantenere, amplificare, proteggere i propri privilegi o la propria supremazia. Alla luce di questo tutti gli eccidi sono uguali e la testimonianza dovrebbe aiutare l'uomo a capire che gli stessi identici errori vengono fatti anche oggi. Cambiano gli strumenti ma non l'etica di morte, l'utilizzo spregiudicato dei propri comodi per mettere i piedi in testa (quando va bene) a chi è più debole.
Questo è il significato e il problema della memoria.
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    Chi scrive?

    Sono un laureato, un dottorato e un farmacista, ma soprattutto mi ritengo una persona curiosa alla continua ricerca di nuove sfide. E' per questo che, durante la mia attività professionale, non smetto mai di imparare e studiare, anche solo per approfondire, o perché è piacevole in un lavoro avere sempre qualcosa di diverso con cui confrontarsi. Dopotutto per tutti quanti a questo mondo ritengo valere sempre quello che diceva ironicamente Socrate: "Una sola cosa so, di non sapere".

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